Sei curioso di sapere se mettendo in frigo per diverse ore il riso, dopo averlo cotto, ha meno calorie? Vuoi sapere se funziona davvero per dimagrire?
La pratica di raffreddare il riso e la pasta post-cottura per ridurre le calorie e l’indice glicemico ha preso piede da qualche anno. Ma in cosa consiste esattamente? E quali sarebbero i vantaggi che si possono ottenere? Andiamo per gradi.
Perché riso e pasta?
Riso e pasta contengono amido, un carboidrato che con la cottura cambia la sua struttura e diventa più digeribile e più assorbibile dall’intestino. Aumenta così l’indice glicemico, ovvero la velocità con la quale uno di questi alimenti provoca un innalzamento della glicemia. Più è alto, maggiore saranno i picchi di glicemia (clicca qui per approfondire).
Cooling/Raffreddamento e amido resistente
Dopo la cottura, una parte di questo amido può retrogradare. Raffreddando riso e pasta (ma questo avviene anche col pane raffermo) una piccola parte dell’amido contenuto in essi si trasforma in amido resistente (AR) o retrogradato. Questo amido, a differenza di quello non retrogradato, non può essere digerito e quindi assorbito.
Qual è lo scopo?
Capito? In pratica l’intenzione è quella di raffreddare il cibo, dopo la cottura, per renderlo meno digeribile ed avere così un apporto calorico del riso più basso. Inoltre, il cooling avrebbe un effetto più blando sui livelli di glicemia e di insulina. L’intenzione è quindi quella di ridurre l’effetto “ingrassante” di questi alimenti.
Quindi funziona?
Nì. È vero che il raffreddamento porta ad una retrogradazione dell’amido, ma in relazione al tempo. Maggiore è la durata del raffreddamento, maggiore è la quantità di AR che si ottiene. Anche se fino ad un certo punto.
Uno studio di qualche anno fa pubblicato sul Asia Pac J Clin Nutr, ha confrontato 3 tipologie diverse di riso: riso bianco cotto (controllo), riso bianco cotto e posto a raffreddamento per 10 ore (test rice I) e riso bianco posto a raffreddamento per 24 ore e poi riscaldato (test rice II). La quantità di amido resistente dei vari test era rispettivamente 0,64 g, 1,30 g e 1,65 g.
In sostanza, il riso bianco contiene già una quantità seppur minima di AR ma questa raddoppia se si pone a raffreddamento per 10 ore ed è ancora maggiore se per 24 ore.
In entrambi I casi stiamo comunque parlando di quantità minime di AR (inferiori a 2 g su 100 g di riso). Quindi non tutto l’amido (il riso ne contiene quasi 80g su 100g) si converte in AR, ma solo una piccolissima parte.
Se consiglio questa pratica?
Sì, ma solo se lo scopo è quello di prepararsi un’insalata di riso. Dai, ci manca solo che tra tutte le paturnie che può avere una persona gli si consiglia di fare il riso, poi metterlo in frigo e poi mangiarselo il giorno dopo. Oltretutto per avere dei benefici quasi nulli.
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Bibliografia
– Asia Pac J Clin Nutr. 2015;24(4):620-5. doi: 10.6133/apjcn.2015.24.4.13.
– Br J Nutr. 2015 Oct 14; 114(7): 1035–1045.